Copertina del libro "Nemesi" di Philip Roth, Einaudi

In principio furono solo alcuni casi sporadici. Poi nel giro di pochi giorni il numero degli ammalati cominciò a moltiplicarsi. E con loro le prime vittime. Ormai ne parlavano tutti. Come difendersi dal contagio? I medici sembravano impotenti e i genitori scrutavano impauriti i figli.
Estate del 1944, Newark, Stati Uniti. Mentre il mondo era in guerra la città del New Jersey combatteva la sua battaglia contro la poliomielite, una misteriosa infezione che colpiva i bambini. Eugene Cantor, che tutti chiamano Bucky, insegnante di educazione fisica ventenne di un campo scuola vede ammalarsi uno dopo l’altro i suoi ragazzi e come tutti ha paura. I suoi amici combattono il nemico al fronte, a lui tocca una battaglia altrettanto spietata contro un virus che poteva lasciare paralizzati. O uccidere. E i muscoli allenati del giovane Bucky non possono niente contro un virus che semina terrore e si alimenta di pregiudizi (c’è sempre la caccia all’untore). Ma Bucky è un ragazzo modello, si prende cura dei nonni che l’hanno cresciuto dopo che la madre è morta di parto, segue i suoi studenti con la dedizione di un educatore, insomma mette il cuore in tutto quello che fa. Sì Bucky sarebbe stato un buon soldato se quel difetto alla vista non gli avesse impedito di andare a combattere tedeschi e giapponesi dall’altra parte dell’oceano. Ma il ragazzino ebreo cresciuto con amore nel retrobottega di un negozietto di alimentari ha in corpo il “virus” del senso del dovere così trasforma in missione la sua battaglia contro la malattia. Fino a distruggere la sua vita.

La scelta

Roth ha pubblicato questo romanzo nel 2010. L’epidemia di polio a cui fa riferimento è reale, negli anni Quaranta furono diversi i focolai dell’infezione (il vaccino fu scoperto nel 1955) e migliaia le vittime. La vicenda è ovviamente inventata, come il personaggio di Bucky. Una figura che illumina tutta la scena con la sua dimostrazione continua di rettitudine ed esagerata disponibilità. Una figura complessa, un uomo figlio dei suoi tempi, capace di scelte divisive. Lasciare la fidanzata per non costringerla a sposare “uno storpio” è una scelta generosa? Un ragazzo che ha costruito la sua autostima sull’efficienza del corpo che strumenti ha contro la nemesi dell’invalidità? Autoconfinarsi nel ruolo di “vittima perfetta” in fondo è più facile che non lottare per l’autonomia (ma erano gli anni Cinquanta, con la visione pietistica dell’handicap). Comunque lo si voglia considerare Roth ci presenta un personaggio che resta.

Epidemie

Rileggere Nemesi dopo gli anni del Covid fa un po’ impressione. Sono passati più di sessant’anni ma di fronte a un virus sconosciuto e letale scattano gli stessi meccanismi, le stesse paure. Fino ai primi anni Sessanta (il vaccino contro la polio è stato scoperto nel 1955, la vaccinazione di massa è iniziata dopo il 1958)  non era raro vedere bambini bambini con gli arti segnati dalla malattia. Dopo l’arrivo del vaccino l’infezione cominciò a fare meno paura e l’epidemia finì. Anche allora alla fine ne uscirono, ma non risulta che “dopo” fossero persone migliori.

 

Oltre la recensione di Nemesi. Altri titoli in qualche modo “connessi”
Di cosa è fatta la speranza, Emmanuel Exitu
Quel che ci tiene vivi, Mariapia Veladiano

 

Titolo Nemesi
autore Philip Roth
traduzione Norman Gobetti
editore Einaudi
pagine 185
anno di uscita 2010