C’è un modo per evitare di <essere ridotti a una patologia, anche dalla reazione dei nostri simili>? Medici e operatori della sanità si concentrano sul <caso> e usano un linguaggio che spesso risulta distante sall’esperienza vissuta dal malato. Se la distanza aertita con i professionisti della salute può essere comprensibile, lo è meno l’atteggiamento di amici e parenti che più o meno consapevolmente circoscrivono la relazione al recinto della malattia. Così al male fisico si aggiunge quello di essere <sparito> come persona, per dientare soltanto paziente. Se c’è un modo per entrare preparati  nel <regno dello star male> questo a cercato nella condivisione dell’esperienza: il narratore ferito nel raccontare la propria storia può diventare un <guaritore ferito>. E’ il percorso scelto da Arthur W. Frank, che da decenni insegna all’Università di Calgary e si occupa di etica e malattie. Passato lui stesso dall’esperienza della malattia oncologica, il docente canadese riflette sulla necessità del corpo di trovare una sua voce e sull’etica dell’ascolto. Perché curare non vuol dire solo somministrare terapie e <riparare corpi>. Il linguaggio della sopravvivenza non è l’unico che può raccontare la storia degli uomini.

 

(da Corriere Salute del 17 febbraio 2022)

 

Il narratore ferito, Arthur W. Frank, Einaudi, pagine 240