Definire l’amicizia non è facile. Sul sentimento più semplice e insieme enigmatico sono state scritte montagne di parole, ma a guardarlo da vicino c’è sempre qualcosa che sfugge. Un legame che è una forma d’amore ma privo del senso di possesso, un rapporto che lega a lungo i destini delle persone  ma è completamente libero dalle “leggi della giustizia, o dai vincoli del sangue”, un affetto che non si aspetta ricompensa perché si basa sulla gratuità e ignora gerarchie e potere perché si manifesta nella parità. Verrebbe da dire un sentimento perfetto, troppo perfetto per essere umano.  José Tolentino de Mendonça – sacerdote e teologo, una delle voci più seguite della cultura portoghese – in questo saggio chiama “piccolo miracolo”  l’amicizia, che è una “fraternità d’elezione”, un’affinità interiore che nel tempo mantiene vivo l’affetto, la complicità e il desiderio di prendersi cura dell’altro. La sua forza è nell’assenza di obblighi (non c’è nessun codice che regoli le azioni di un amico), nel rispetto delle caratteristiche e dei limiti dell’altro (un amico si accetta com’è…)  e nella reciprocità (gioire  delle gioie dell’altro e compartecipare al suo dolore) che ci fa guardare la vita sporgendosi oltre la barriera del “noi”. Certo spesso si tende a banalizzare questo rapporto speciale attribuendo la qualifica di amico anche a semplici conoscenti. Non è facile distinguere la vera amicizia da rapporti più superficiali, e in questo aiutano alcuni “segni”: la capacità di comprendersi oltre le parole, essere una presenza rassicurante e soprattutto sapersi incontrare nell’abbraccio per farlo diventare una “conversazione senza parole”. Spostando la riflessione sul Nuovo testamento, dove l’esperienza di amicizia tra Gesù e i discepoli ha un ruolo fondamentale, il teologo portoghese ci ricorda che “L’amicizia di Gesù ci ricorda che Dio mette una virgola dove noi credevamo possibile solo un punto finale”.

 

Amicizia, José Tolentino de Mendonça (traduzione Pier Maria Mazzola), Piemme, pagine 176, 2023