Angelo si presentò al mondo negli anni Sessanta del secolo scorso. Portava in dote una grave sofferenza cerebrale. Oligofrenia era il verdetto e fu subito chiaro che “il bambino” non sarebbe mai diventato un adulto autonomo e che l’esistenza di Anna e Pietro, i suoi giovani e smarriti genitori – tutta la loro esistenza – sarebbe ruotata intorno ai suoi bisogni imperiosi e incomprensibili. 

Con il passare degli anni, mentre il suo corpo cresceva e le sue condizioni fisiche si aggravavano anche il benessere della famiglia Bonaventura cominciava a vacillare. Non poteva certo bastare il lavoro a mantenere le visite mediche all’estero, le badanti filippine Nora e Roselyn, e tutti gli agi che i genitori non volevano far mancare a quel figlio sfortunato. Era l’amore, certo, a decidere di portarlo in giro in macchina ogni notte con un autista perché era il solo modo per tenerlo calmo, ma era un affetto cieco che sapeva di resa a un destino crudele.

Qual è il confine tra disponibilità e insensatezza? Davvero il “suicidio emotivo” dei suoi genitori era l’unica strada percorribile? Davvero il loro affetto non poteva essere mediato da un ricovero in una clinica?

Il “bambino” è davvero esistito e la sua vicenda umana, ritoccata per riservatezza,  si è svolta davvero in questo modo. Una vita difficile raccontata in modo magistrale, che interroga su quei drammi esistenziali per i quali sembra non esserci possibilità di scelta, tantomeno vie d’uscita.

 

Il bambino, Massimo Cecchini (Neri Pozza) pagine 201, Euro 18,00