Quando Roger mette la pistola appena acquistata nel cruscotto della macchina a noleggio è già chiaro che non c’è niente di buono da aspettarsi. Roger è in vacanza in Florida con la moglie Stacy e i loro bambini. La crisi ha portato alla rovina la sua impresa edile, e questo lo rende insicuro, scostante. Non che fosse molto simpatico prima: quando gli affari andavano bene non esitava a esibire la ricchezza, e a valutare se stesso e gli altri attraverso i simboli del successo, come il costosissimo Rolex Daytona che portava al polso. Se lui fa una tragedia della perdita di status sociale, che impone il trasferimento dal lussuosi appartamenti Park Avenue in un semplice appartamento e la fine di una serie di lussi, non lo è per la moglie. Stacy prima di incontrarlo faceva l’operatrice sociale e gli anni di matrimonio tra viaggi costosi tate e scuole private per i figli non le hanno fatto perdere l’amore per il prossimo e la capacità di adattarsi. Ma quell’arma le fa capire che per il marito le cose non stanno così…

Nonostante la suspence, questo non è un romanzo dove si deve capire chi è il colpevole. L’obiettivo è piuttosto “scendere agli inferi” con la follia di un personaggio. Che cosa fa scattare in un uomo il delirio di onnipotenza che lo spinge ad agire “per il bene di tutti”? Quanto conta la pressione sociale? E quanto è responsabile la cultura delle armi, ben coltivata nell’America contemporanea, delle tragedie personali? C’è anche questo nelle pagine di un thriller che offre tanti spunti per un’ indagine sociale.

La vita di prima, Marian Thurn, traduzione di Monica Capuani, Bollati Boringhieri, pagine 313