Copertina del romanzo Mi chiamo Lucy Barton di Elizabeth Strout pubblicato da EinaudiLucy Barton è in ospedale per le conseguenze di un intervento chirurgico, dalle finestre della sua stanza vede le luci di una città che non è la sua ma dove ormai da anni abita con il marito e le due figlie. Lucy è sola, ha paura e riflette sulla sua vita, non è ancora la scrittrice famosa che sappiamo diventerà. Si stupisce quando vede arrivare la madre, le due donne non si vedono da tanti anni, praticamente da quando Lucy ha lasciato Amgash, la cittadina dell’Illinois dove è nata e dove ha vissuto i primi difficilissimi anni (è un posto senza “un po’ di bellezza su cui posare gli occhi”).

Origini

La famiglia di Lucy era molto povera, anche di affetto. Lucy e i suoi fratelli da piccoli erano emarginati a scuola e anche a casa mancavano di tutto soprattutto di abbracci. Tra Lucy e la madre, che tirava avanti facendo piccole riparazioni di sartoria, non ci sono mai state troppe parole. E la frattura si è consumata definitivamente  quando Lucy ha ottenuto una borsa di studio per il college e si è allontanata senza guardarsi più indietro. La visita della donna la stupisce, ma la accoglie come un regalo insperato. I cinque giorni e le cinque notti che la madre passa sulla sedia scomoda accanto al suo letto rappresentano un’isola nella fredda relazione tra le due donne. Le parole, imbarazzate, congelate, escono a forza dalla bocca della madre. Il loro è un affetto senza parole, un affetto che non sa esprimersi.

Riscatto

In questo romanzo, magistrale per la descrizione dell’ambiente e dei silenzi, viene presentata tutta la famiglia di origine di Lucy (“che viene dal niente”): il padre portatore di traumi antichi, i fratelli senza talento e determinazione, la casa fatiscente e soprattutto la madre inasprita dalla vita. Il rapporto tormentato con la madre è centrale, ma emerge con forza anche il “personaggio” della provincia americana con tutto il portato di ipocrisie, ignoranza, fatica, frustrazioni. Sarà la scoperta dell’istruzione ad aprire alla giovanissima Lucy porte inimmaginabili: «i libri mi davano qualcosa. È questo che penso. Mi facevano sentire meno sola» (pag 22).

 

La frase: «Quello della solitudine era il primo sapore che avevo assaggiato nella vita e non se ne andava più, nascosto nelle pieghe della bocca, a ricordarmi» (pag 36)

titolo Mi chiamo Lucy Barton
autore Elizabeth Strout
traduzione Susanna Basso
editore Einaudi
pagine 165, anno di uscita 2016
Isbn 9788806229689

 

 

Gli altri romanzi del “ciclo Lucy Barton” :
Tutto è possibile
Oh, William!
Lucy davanti al mare

 

Altri romanzi di formazione e riscatto sociale:
Demon Copperhead, Barbara Kingsolver
L’educazione, Tara Westover
Il mare dove non si tocca